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Approfondimento

La bolla d´idrogeno

Tiberio Cavallo con la bolla d'idrogeno (1782) e il pallone a idrogeno di Jacques Charles (1783)



 

Nel 1782 Tiberio Cavallo, un professore napoletano emigrato a Londra, fece una lezione alla Royal Society con esperimenti davvero carini. Gonfiava piccole bolle con il gas idrogeno, che allora si chiamava aria infiammabile, e le faceva salire per la stanza.
Noi possiamo reinventare questo esperimento con materiali semplici. Nel bulbo di una pipetta di plastica facciamo cadere un pezzettino di nastro di magnesio, e poi versiamo un po' di aceto o di succo di limone.

In generale, la reazione chimica tra un acido e un metallo vede l'acido corrodere il metallo, che a poco a poco va in soluzione, mentre si liberano bollicine di idrogeno. Il magnesio è uno dei metalli più reattivi, e quindi è particolarmente indicato per questa reazione, che procede rapidamente anche con acidi deboli.
Stendiamo una lamina saponosa sul collo della pipetta, e questa viene gonfiata dall'idrogeno così prodotto. A questo punto possiamo farla esplodere presso la fiamma di una candelina – è “aria infiammabile” – o farla decollare e salire per la stanza.
Le bolle prodotte sul collo della pipetta sono necessariamente piccole, e così le esplosioni (quando va bene si riesce a vederle e sentirle). È quindi un esperimento sicuro (il Minikit Bolla d'Idrogeno è in vendita nella sezione E-shop).

Parigi nel pallone


Il 1783 a Parigi, fu l'anno dei palloni. I fratelli Montgolfier costruivano le mongolfiere, piene di aria calda. Il fisico Charles riempiva i palloni con il “gas rilasciato dal vetriolo”, l'idrogeno.
Il primo lancio a Parigi fu di un pallone di Charles, riempito con l'idrogeno generato da due quintali e mezzo di acido solforico (vetriolo) su mezza tonnellata di rottami di ferro. Fu effettuato il 27 agosto, a Champs de Mars, alla presenza di una folla che Benjamin Franklin, presente, stimò di 50.000 persone.
In settembre, i fratelli Montgolfier lanciarono una mongolfiera a Versailles, con passeggeri: una pecora, un'oca e un gallo (in Francia, non poteva mancare il gallo!). In novembre poi, a Parigi, i due fratelli fecero decollare una mongolfiera con i primi passeggeri umani. Queste ascensioni fecero grande scalpore.
Poi anche Charles fu pronto per il decollo, dopo aver sistemato il problema per cui l'idrogeno, prodotto ad alta temperatura, si raffreddava nel pallone e si contraeva. Ciò era un'illustrazione della legge di Charles sulla proporzionalità tra volume del gas e sua temperatura. Oggi gli studenti la imparano spesso senza sapere che lo scienziato in questione era proprio quello spericolato che fece il primo volo su un pallone ad idrogeno, con l'amico e collega Nicolas Robert. In una cronaca del tempo, Le Tableu de Paris, così viene raccontato l'avvenimento, davanti pare a una folla di 400.000 persone.

 

La fiumana di persone era di per sé una vista senza paragoni, tanto era varia, vasta e mutevole. Duecentomila persone, che alzavano le braccia meravigliate, ammirate, liete, attonite: alcune in lacrime per paura che gli intrepidi fisici si facessero male, altre in ginocchio sopraffatte dall'emozione, ma tutte seguendo gli aeronauti in spirito, mentre questi, impassibili, salutavano, agitando le loro bandiere sopra le nostre teste; che novità, che dignità nell'esperimento; il sole senza nuvole, che dava il benvenuto ai viaggiatori nel suo elemento; la compostezza dei due uomini che navigavano nel blu, mentre i loro concittadini pregavano e temevano per la loro sicurezza; e infine il pallone stesso, superbo nella luce del sole, girava intorno come un pianeta, o come il carro di un dio atmosferico. Fu un momento che non potrà mai essere ripetuto, il risultato finora più sbalorditivo che la scienza fisica ha dato al mondo.


Parigi cominciò a fermentare, in piena mania dei palloni. Si trovavano in vendita palloncini di vario tipo. Franklin ne comprò uno, per il suo nipote e segretario. Fatto decollare in camera alla sera, andò sul soffitto e ci rimase per un po'. Il palloncino, così come le bolle di sapone piene di idrogeno, è una versione in piccolo dell'esperimento in grande.
Franklin cominciò a comprare e spedire palloncini ai suoi amici per il mondo. Dopo un po', ci furono così tanti palloncini di aria infiammabile a Parigi che la polizia dovette bandirli per timore di incendi.

La prima ascensione in pallone a idrogeno (Parigi 1783) - Library of Congress



 

Possiamo immaginarci scienziati per tutti i gusti in quei giorni a Parigi. Vediamo Benjamin Franklin, l'inventore del parafulmine, in veste di ambasciatore degli appena nati Stati Uniti, con indosso il cappello di castoro tipico della frontiera, mentre compra palloncini per i colleghi.
Ecco lassù Jacques Charles, col pallone aerostatico mentre esplora l'oceano d'aria, decollato da solo  dopo il tramonto, e salito fino a 3000 metri a vedere di nuovo il sole, scopre il mal d'orecchie e tornato a terra decide che non volerà mai più!
C'è poi Antoine Lavoisier, il padre della chimica moderna e direttore dell'Accademia delle Scienze, che l'anno successivo decomporrà l'acqua mostrando che è composta di due gas, l'ossigeno che respiriamo e l'aria infiammabile con cui volano i palloni, e a cui darà il nome di idrogeno.

 

 

I raggi cosmici


Molti scienziati salirono in pallone. Nei primi del Novecento, l'austriaco Victor Hess portava nelle sue ascensioni un elettroscopio di Wulf, uno strumento che si scarica per effetto delle “radiazioni”, cariche elettriche che si pensava provenissero dalla terra.
Hess scoprì che a mille metri di quota l'elettroscopio si scaricava più lentamente (segno che le radiazioni terrestri venivano assorbite dall'atmosfera), ma salendo ancora di più, l'elettroscopio si scaricava più velocemente, anche varie volte più velocemente che sulla terra.
Hess fece numerose ascensioni, anche di notte, anche durante un'eclissi, per poter escludere il sole come sorgente delle radiazioni. Egli scoprì così i raggi cosmici, particelle cariche che piovono continuamente sulla terra da varie parti dell'universo.
Nel 1948 un gruppo dell'Università del Minnesota cominciò a lanciare palloni di elio capaci di portare decine di chili di strumentazione (una camera a nebbia e lastre fotografiche) ad un'altezza di quasi quaranta chilometri, ossia abbastanza in alto da studiare i raggi cosmici prima che l'atmosfera cominciasse ad assorbirli o trasformarli in modo significativo.
Con questi esperimenti essi scoprirono che nei raggi cosmici non c'erano solo nuclei d'idrogeno, come si pensava inizialmente, ma anche nuclei pesanti, dall'elio al ferro. Fusi nelle stelle, questi nuclei vengono scagliati per tutto l'universo quando le stelle esplodono.
Frank Oppenheimer, il futuro creatore del museo Exploratorium a San Francisco, faceva parte di questo gruppo di ricercatori. Quando la camera a bolle scendeva dalla stratosfera col paracadute, essi partivano all'inseguimento in mongolfiera, per vedere dove sarebbe caduta e poi andare a recuperarla. Frank avrebbe descritto una di queste cavalcate in pallone, ai tropici vicino a Cuba.

 

 

Avvicinandosi abbastanza alle onde da vedere i banchi di pesci, vicino alle scogliere da intuirne il mosaico di rocce, sopra le case da poter vedere i fiori e i piccoli campi collinosi coltivati in un tessuto pezzato a canna da zucchero, caffé, pomodori, fagioli, banane e ananas.


Andando a recuperare le strumentazioni volanti attraverso la giungla, i ricercatori venivano accompagnati dai bambini dei villaggi vicini, che li aiutavano coi loro machete e offrivano loro pezzetti di canna da zucchero.
Non si può fare a meno di notare che Oppenheimer avrebbe poi concepito il museo dell'Exploratorium anche come un bosco, una giungla:

 

 

Noi, naturalmente, pensiamo all'Exploratorium in tanti modi, non solo come una collezione di aggeggi per insegnare mini-curricoli. È un posto dove andare a spasso, un bosco di fenomeni naturali in cui vagare qua e là.


L'Exploratorium di San Francisco

 

 

Molte persone che parlano del metodo di insegnamento per scoperta in realtà parlano di preparare una lezione o un esperimento in modo che lo studente scopra quello che si aspettano che scopra. Questa non è un'esplorazione. La tradizione dell'esplorazione sta venendo perduta per intere generazioni.
È pertanto più importante che mai che i musei si prendano la responsabilità di dare le opportunità per esplorare che mancano sia in città che in periferia. Sarebbe bello se lo facessero, ma ci vorrà un po' per farlo bene. Se i musei sono troppo a-strutturati, troppo poco maneggevoli, la gente si perde e vuole solo tornare al campo base. D'altro canto, se sono troppo rigidi o strutturati o canalizzati, non ci sono possibilità di scelta o di scoperta.
Esplorare, come fare ricerca di base, spesso non dà frutti. Non ne viene niente. Ma come la ricerca di base, esplorare permette di deviare dai sentieri precostituiti per inseguire qualche indizio.
Un museo che permette l'esplorazione non deve essere disorganizzato fisicamente o concettualmente. Deve, comunque, contenere molte cose che possono facilmente non essere notate, cosicché la scoperta sia in qualche modo una sorpresa, un trionfo, non come risultato personale ma come soddisfazione personale. Il genere di soddisfazione che mi spinge invariabilmente a raccontare a qualcuno l'esperienza.


La prima volta che ho portato l'esperimento di Cavallo con materiali semplici a un corso, a Pergine (TN) nel 2007, lo avevo reinventato il giorno prima e non ero ancora riuscito a far decollare la bolla. Ero sicuro che si potesse fare, ma avevo provato due ore senza riuscirci. Decisi di correre il rischio. Una volta raccontati gli esperimenti e distribuiti i materiali agli insegnanti del corso, dissi loro, un po' genericamente “è un po' laborioso, ma ci si riesce...”
Dopo pochi minuti, cominciarono alcune voci “Professore...” “Professore” e diverse bolle salivano nella stanza... gli insegnanti erano tutti estasiati per le loro bolle, ma io ero il più estasiato di tutti. Cercavo di non darlo a vedere. Ero ansioso di provarci anch'io.

 

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