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Approfondimento

che l´una parte e l´altra tira e urge

Come antologia presentiamo una raccolta di immagini, poesie e informazioni assortite sugli orologi a verga e foliot.

Dal punto di vista della precisione, bisogna ricordare che gli orologi ad acqua erano molto superiori agli orologi meccanici prependolari. Per l’osservazione astronomica la cronometria a fluido, con acqua pura e temperatura dell’ambiente controllata, garantiva scarti di pochi secondi nelle ventiquattro ore. Gli orologi meccanici più accurati non andavano al di sotto di qualche minuto. Questi ultimi, pertanto, non venivano usati per quegli studi che richiedevano grande precisione, come in astronomia.

Qual era allora l’uso degli orologi meccanici? E, quando videro la luce i primi orologi meccanici? Una referenza insostituibile per questa e altre questioni è “Orologi Italiani” di Antonio Simoni (1965), sicuramente un ottimo punto di partenza per approfondimenti di carattere tecnico, storico e letterario sugli orologi.

Innanzitutto è bene distinguere tra gli svegliatori monastici (di piccole dimensioni, costruiti in ottone con la tecnologia già sviluppata per gli astrolabi) e gli orologi da torre (di grandi dimensioni, in ferro). Mentre le testimonianze sugli orologi da torre si arrestano all’inizio del Trecento, i documenti scritti sugli svegliatori risalgono fino all’inizio del Duecento, e già allora li menzionano non come novità, ma come cosa nota.

Gli orologi a pesi sono infatti citati nella prima metà del Duecento da Guglielmo di Alvernia nel suo De Anima, dove vengono portati come esempio della distinzione tra le cose animate dal Creatore e quelle mosse dall’artificio dell’uomo, per quanto anche queste ultime possano dare l’illusione d’essere di per se stesse animate.

Altra testimonianze, di altissima poesia, ma anche di notevole importanza cronologica vengono dalle descrizioni dell’orologio nel Paradiso di Dante. Alla fine del X Canto la ruota dei beati si accomiata da Dante con un moto e un canto che vengono paragonati all’orologio.

 

Indi, come orologio che ne chiami
ne l'ora che la sposa di Dio surge
a mattinar lo sposo perché l'ami,


che l'una parte e l'altra tira e urge,
tin tin sonando con sì dolce nota,
che 'l ben disposto spirto d'amor turge;


così vid' ïo la gloriosa rota
muoversi e render voce a voce in tempra
e in dolcezza ch'esser non pò nota


se non colà dove gioir s'insempra.


Dopo aver costruito un orologio a verga e foliot (uno “svegliatore monastico”), in cui diverse parti si tirano e si spingono a vicenda, si può meglio apprezzare il “che l’una parte l’altra tira ed urge”: infatti il peso tira la corona mentre i denti della corona spingono le palette, e poi le palette a loro volta spingono i denti frenando la caduta del peso e tirandolo verso l’alto. Simoni annota che “non era certo possibile, in così breve spazio, descrivere con maggiore efficacia lo svegliatore in azione”. Il testo dantesco fa altresì riferimento all’uso monastico dell’orologio, la chiamata alla preghiera con il suono della campanella al mattino presto, descritta con la bellissima immagine della sposa che sveglia lo sposo perché l’ami. Quante cose in così pochi versi!

 

 

E come cerchi in tempra d'orïuoli
si giran sì, che 'l primo a chi pon mente
quïeto pare, e l'ultimo che voli;


così quelle carole, differente-
mente danzando, de la sua ricchezza
mi facieno stimar, veloci e lente.


Nel XXIV Canto Dante dà un’altra descrizione in cui si sofferma sul meccanismo delle ruote, colpito dal fatto che la prima ruota sembra immobile mentre l’ultima si muove agilissima. E cosa dire dell’enjambement estremo, differente-mente? Non richiama la brusca discontinuità del foliot che inverte il suo moto? Gli stecchini dei ghiaccioli sghembi?

Queste similitudini dantesche sono state definite esempi di “comparatio domestica”, in cui i temi più alti vengono spiegati attraverso gli esempi più semplici. Tuttavia, per quanto nel Trecento gli orologi meccanici fossero cosa universalmente nota e non venissero usati in astronomia ma per regolare la vita sociale, erano pur sempre una delle meraviglie tecnologiche del tempo.

1364, Giovanni de' Dondi dell'Orologio, L'Astrarium (dal Tractatum Astrarii)



Alla metà del Trecento la meraviglia tecnologica in fatto di orologi a pesi era l’Astrario di Giovanni de’ Dondi, costruito in 16 anni di lavoro. Mostrava l’ora del giorno, le feste fisse e mobili, la posizione della luna, delle stelle fisse e dei pianeti. In alcuni casi de’ Dondi utilizzò ruote ellittiche per modellare più accuratamente le irregolarità nel moto dei pianeti. Ciò dà un’idea del grado di perfezione cui era arrivato questo genio nella realizzazione del suo capolavoro. Nonostante l’originale sia andato perduto, grazie al “Tractatus Astrarii” compilato dal Dondi, diverse repliche sono state costruite (la più antica a metà del 1500, altre dal 1960 in poi) e sono conservate in vari musei nel mondo.

1480, Sandro Botticelli, Sant’Agostino nello Studio (Chiesa di Ognissanti, Firenze).



Leonardo fece alcuni disegni dell’Astrario verso la fine del Quattrocento. Dello stesso periodo è l’affresco di Botticelli Sant’Agostino nello Studio. In esso, oltre ai libri di geometria e alla sfera armillare, compare un orologio meccanico, con una corona fiorita in luogo della barra a pesetti. L’orologio raffigurato nell’affresco ha un carattere di antichità, in quanto la corona fiorita è precedente al foliot coi pesetti regolabili, un’innovazione già diffusa nel quattrocento.

 

Testimonianze iconografiche di svegliatori monastici quattrocenteschi sono presenti in diverse tarsie, ossia pannelli di legno ad intarsio, di cui ci sono vari esempi nei cori delle chiese. Nelle regole dei monaci si trovano spesso disposizioni per gli incaricati al governo dell’orologio, già dai primi del XII secolo, come la nota “Sacrista debet temperare horologium, et ipsum facere sonare ante matutinas pro se excitando quotidie”, anche se spesso da esse non è possibile capire se si tratti di orologi idraulici o meccanici.

1499, Fra Giovanni da Verona, Tarsia del Coro (Chiesa di Santa Maria in Organo, Verona)

 

 

 



1525, Fra Raffaele da Brescia, Coro di San Michele in Bosco (V&A Museum, Londra).



1551, Fra Damiano da Bergamo, Tarsia del Coro (Chiesa di San Domenico, Bologna)


 


 

 

 

 

 

 

Gli orologi meccanici servivano dunque per regolare la vita monastica e in seguito la vita civile, nelle scansione giornaliera delle ore e talvolta come calendario. Ma certamente, erano anche una sorgente di meraviglia, che stimolava riflessioni e paragoni con l’organizzazione sociale, la struttura del mondo, e molto altro ancora.

Con l’introduzione della molla al posto del trascinamento di peso a metà del quattrocento, l’orologeria si rivolse verso gli orologi mobili, portatili. Un esempio impressionante di quest’arte è l’orologio donato dalla Serenissima Repubblica di Venezia a Solimano II nella prima metà del 1500. Il costruttore, Giovan Giorgio Capobianco da Schio, è ricordato come colui che ridusse l’horiuolo ne l’anello del Gran Turco (che, come riporta l’Aretino, costruì un orologio dentro un anello!). Lo scappamento a verga e foliot aveva a quel tempo raggiunto il massimo delle sue possibilità. Miglioramenti radicali (in fatto di precisione nella misura del tempo) sarebbero stati possibili solo con una grande innovazione di Galileo Galilei, l’orologio a pendolo, ma questa è un’altra storia.

La meraviglia davanti allo scappamento a verga e foliot era ancora viva a Cinquecento inoltrato, e Bernardino Baldi da Urbino, uno degli uomini più colti del tempo, scriveva “I contrappesi degli orologi si vedono, e pure si ha la sensazione che la cosa si muova da sola”.

 

 

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