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Approfondimento

Beniamino e l´orologio medievale

Questo articolo accompagna il video su “l'orologio medievale” realizzato con materiali di recupero o di uso quotidiano: stecchini, stuzzicadenti, cartone, stecchini dei ghiaccioli, cannucce...
È uno dei miei esperimenti preferiti, anche perché l'ho inventato io. Forse la parola giusta è reinventato. Esso incorpora i temi dei miei studi: la fisica, la storia della scienza, la didattica con i con materiali semplici. Perciò questo è un articolo un po’ diverso dagli altri, dato che vado a raccontare anche molti ricordi personali.



La prima volta che sentii parlare dell'orologio medievale fu sulle pagine di un libro di Stanley L. Jaki, “il Salvatore della Scienza”.
Era circa il 1998, ero uno studente del terzo anno di fisica all'Università di Trento, con una crescente passione per la storia della scienza. Volevo approfondire la scienza medievale. La cultura dominante parlava di secoli bui, di nemici della scienza. A me sembrava che gli anonimi autori di guglie alte cento metri venissero un po' insultati, in questo modo. Era questa l'unica cosa che sapevo, al tempo ero digiuno di storia della scienza e della tecnologia. Ma era abbastanza per volerci vedere più chiaro, e cercare qualcosa da leggere.
Mi imbattei dunque in questo splendido libro, che nelle prime cento pagine – citando ottant'anni di studi vari sulla tecnologia medievale – dipingeva un grande affresco della scienza medievale, pieno di personaggi, come Jean Buridan e la sua ruota da arrotino, e dove sotto le alte guglie

si trovava l'orologio meccanico, un elemento costante nelle chiese gotiche dal tardo tredicesimo secolo. Il processo più significativo rappresentato da questi orologi non stava nella loro ingegnosità – un meccanismo a doppia retroazione che per la prima volta nella storia imbrigliava la caduta accelerata dei gravi in un moto a velocità costante...


Avevo trovato la mia guida, l'affresco era pieno di referenze, e allora feci caso che nella biblioteca di facoltà c'era moltissimo sulla scienza medievale, cose tipo i dieci volumi di Le Système du Monde (storia delle dottrine cosmologiche da Platone a Copernico) di Pierre Duhem, e i cinque di Archimedes in the Middle Ages di Marshall Clagett. Bastava guardarli per capire che la storia della scienza è una cosa seria.
Io però avevo i miei esami di fisica da fare, e poi sotterrarmi in laboratorio per il lavoro della tesi. Passai un anno in laboratorio, e quando uscivo per andare a fare la spesa al supermercato, mi pareva di andare in vacanza. L'allora preside di facoltà, il prof. Davide Bassi, una volta descrisse gli studenti in tesi di fisica sperimentale (un po' scherzando e un po' no) come “gli internati in laboratorio”.
Ogni tanto mi regalavo un libro di storia della scienza, Jaki, Pedersen, il “Galileo” di Fantoli: ero uno studente di fisica, e poi un fisico, con la passione per la storia della scienza.

Fu la passione per la storia della scienza a farmi sbilanciare verso l'insegnamento. La mia idea era di insegnare fisica alle superiori e parallelamente coltivare la storia della scienza. Ma, eravamo nel 2003, e all'università di Trento stava nascendo, sotto la guida del prof Oss, il Laboratorio di Comunicazione delle scienze fisiche, dove cominciai a lavorare. Prima in collaborazione col Museo tridentino di scienze naturali (oggi MuSe), poi in collaborazione con l'Iprase, l'istituto provinciale per la ricerca educativa.
Il gruppo raccoglieva quanti si occupavano di didattica della fisica, nelle scuole, all'università, con corsi di aggiornamento, ma anche con mostre, con esperimenti, con articoli di giornale, libri, eventi... da qui la parola “comunicazione” e non solo “didattica”.
Io cominciai a incontrare molti insegnanti e a progettare con loro incontri, andavo in tante scuole diverse, portando sempre scatole con materiali da distribuire per far fare esperimenti agli studenti. In quegli anni conobbi anche tanti gruppi simili in Italia e all'estero, dove si studiano e si preparano esperimenti, attività, metodi didattici per lo studio delle scienze, applet, libri illustrati. Conobbi le riviste dove si pubblicano questi lavori e le conferenze dove ci si incontra, si ascoltano le relazioni e si scambiano esperimenti nuovi. Molti ricercatori e professori in questo campo infatti conservano uno stupore meraviglioso di fronte agli “esperimenti”.

Nel frattempo, leggevo moltissimo di storia della scienza, mi compravo molti libri usati su internet. Per recuperare alcuni libri introvabili arrivai a scrivere una mail a Stanley L. Jaki, che sul suo sito diceva di averne alcune copie. Erano “The Relevance of Physics” sul legame tra fisica, storia della fisica e cultura e “Science & Creation” sulla storia della scienza nelle antiche civiltà, intrecciata con le rispettive culture e cosmologie.
Mi rispose il giorno stesso, e mi mandò un libro extra in regalo. Io lo chiamavo sempre rispettosamente “padre Jaki” (era infatti monaco benedettino), ma dopo un po' mi disse, “Benjamino, è padre Stanley”.

Nel maggio 2006 un gruppo di studenti portò a Trento una mostra sulla scienza medievale, “Sulle spalle dei giganti” e mi coinvolsero. Stefano Prezioso, Francesco Bariani, Silvia Caponi, Nicola Fambri. Fu un tempo molto bello.
Feci la guida e tenni alcuni incontri, mescolando scienza e storia. Portavo “materiali semplici” da mostrare, invenzioni medievali: pastasciutta, forchette, occhiali... in un istituto tecnico un'insegnante andò a prendere dei modellini di magli e alberi a camme costruiti dagli studenti per illustrare le cose che andavo raccontando. Mi si accese una lampadina.
E si mescolavano così storia ed esperimenti con cose semplici, entrambi diventano più interessanti in questo modo, e si mostra come la scienza e le arti, la cultura, la vita del tempo procedono insieme.
Un esempio di ciò è il testo in antologia “Che l'una parte e l'altra tira e urge” [LINK] in cui l'orologio meccanico viene illustrato con tarsie e descritto da Dante Alighieri, nel Paradiso.

Sempre durante il dottorato, alla fine del 2006, cominciai a tenere i primi corsi per insegnanti, e il tema era sempre, declinato in diversi modi, quello degli esperimenti con i materiali semplici.
La mia prima classe furono insegnanti di Tecnologia della scuola media, e le lezioni erano al sabato mattina, per quattro ore. Si fanno tanti esperimenti in quattro ore. Mi preparai il corso con molta cura, e pensai di fare un incontro sulla rivoluzione industriale, esperimenti col vapore. E poi un incontro sull'elettricità, pile, dinamo, motori elettrici. Un incontro sulle fibre ottiche, trasmissione delle informazioni. E un incontro, mi dissi, ci vuole il medioevo, i mulini, i magli, il moto... ci vorrebbe l'orologio meccanico, mi dissi.
E quindi, presi il “Punti di svolta nella tecnologia occidentale” di DSL Cardwell, dove c'era uno schema del principio di funzionamento, il regolatore a “verga e foliot” con la ruota dentata.

Cominciamo con questo, mi dissi.

Trovai una cannuccia per la verga e gli stecchini del ghiacciolo per le palette, stecchini, stuzzicadenti, cartone, pongo. Il meccano per sostenere la struttura, e per i pesi del foliot, usai due copri-spioncini d'ottone.



Costruendo il modellino, mi accorsi che lo schema di Cardwell non poteva funzionare bene perché i denti della corona erano in numero pari, e devono essere dispari. Non avevo goniometro e quindi mi costruii un pentagono con riga e compasso, ecco che si mette in pratica un'attività di Tecnologia!

Vidi che superare un errore, costruire, realizzare una cosa che funziona, sono tutte cose che danno soddisfazione intellettuale. E l'orologio di stecchini e cannucce funzionava, e piacque molto anche agli insegnanti di Tecnologia, che in piccoli gruppi di 2-3 li costruirono in un paio d'ore.
Avevo infatti apparecchiato l'aula con diversi esperimenti che illustravano il piano del corso, e poi i materiali per tutti, nella modalità degli “esperimenti distribuiti”... tutti al lavoro, in un'atmosfera serena e operosa.

L'orologio meccanico si prestava bene come “progetto” per Tecnologia alla scuola media, ma era anche molto interessante per un'attività in Fisica alla scuola superiore (in allegato trovate ISTRUZIONI, SUGGERIMENTI e TEST), e quindi lavorammo un po' alla descrizione di questo strumento, e scrivemmo un paio di articoli sull'argomento.

Schizzo dell'orologio senza foliot. La paletta superiore è appena “scappata”. Disegno del prof Oss.



 

L'orologio medievale è un meccanismo che illustra il “feedback” (la retroazione) e raggiunge un “ciclo limite”. Per questo ha appassionato anche gli studiosi di elettronica e teoria del controllo, e la sua descrizione in termini rigorosi è davvero “tosta” e mette a dura prova gli studenti universitari (e anche i professori).

B. Danese and S. Oss
A medieval clock made out of simple materials
European Journal of Physics, 29, 799-814 (2008), doi: 10.1088/0143-0807/29/4/013

Beniamino Danese
L’orologio medievale
La Nuova Secondaria, 10 (giugno 2009), XXVI, 49-56.

L'orologio medievale di stecchini e cannucce ha mosso le lancette in tanti eventi a cui siamo andati, dall'archeologia alla robotica, ed è legato a tanti episodi di amicizia e stima. Piacque molto alla professoressa Michelini dell'Università di Udine che presiedeva la commissione quando difesi il mio lavoro di tesi per il dottorato, e mi raccontò dell'Orologio Pesarino e di Pesariis vicino a Udine, paese di orologiai. Piacque molto a Hassan Haroun al Hassanat, uno dei responsabili degli scavi di Petra in Giordania, che incontrai alla Rassegna del cinema archeologico, e gliene regalai uno con due portachiavi a forma di cammello come pesetti del foliot.
Tomaso Iori del Museo della Scuola di Rango se ne costruì alcuni esemplari e mi diede in regalo un acciarino. Ecco gli scambi di esperimenti da cui tutti escono arricchiti!
Un giorno andai a trovare l'orologiaio di Verona, il signor Forlati, per chiedere informazioni sul suo libro “segnatempo veronensis”, e nel suo studio pieno di orologi approvò sorridendo il meccanismo di stecchini e cannucce, dicendo che per imparare, per insegnare, va molto bene.

Forse, chi rimase più colpito dall'orologio di stecchini e cannucce fu proprio il padre Stanley. Rimase a contemplare il meccanismo nei suoi ritmici movimenti, l'ondeggiare instancabile del foliot, i ticchettii degli stecchini, il peso che scende quasi immobile. Io cominciai “vede gli stecchini della ruota sono dispari perché...” e lui “sì, sì, ma shhh”, e così, rimase a guardarlo in silenzio, come se non si trovasse più lì, ma sotto alte guglie gotiche parigine, con le vetrate blu e Jean Buridan, all'inizio del trecento.

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